Foto della “Strada delle
Ossa” da Magadan a Yagodnoe
I testi che accompagnano le foto sono tratti dalle
opere-testimonianze di Shalamov, Bardach, Solomon e dal libro di Conquest. Il colore dei vari testi corrisponde ad un
autore, come qui sopra evidenziato.
Per i riferimenti bibliografici di questi libri vai alla pagina
principale sulla Kolyma.
Ho scelto di commentare le foto non con didascalie sul luogo o su
ciò che si vede, ma con brani tratti dalle memorie di sopravvissuti ai gulag
perché penso sia il modo migliore per contestualizzare lo spazio ed il tempo
della “Strada delle Ossa”.
Le foto si riferiscono ai primi di luglio del 2007.
Qui trovate foto direttamente
inerenti alle condizioni della strada ed al paesaggio circostante. Per
visualizzare invece immagini relative ai centri che si trovano lungo l’arteria
di comunicazione principale della Kolyma ciccate sui link qua sotto: (per
localizzare i vari paesi guardate la cartina della
strada)
Come
si apre una strada nella neve vergine? Un uomo marcia in testa, sudando e
bestemmiando, muovendo a stento i piedi, continuando a sprofondare nella neve
molle, alta. Va avanti, sempre più lontano, lasciando sul suo cammino buche
nere e irregolari. Stanco, si stende sulla neve, si accende una sigaretta, e il
fumo della machorka si spande in una piccola nuvola azzurra sopra la neve
bianca, scintillante. Lui è già ripartito e la nuvoletta resta sospesa là dove
si era fermato a riposare: l’aria è quasi immobile….L’uomo trova da solo i
punti di riferimento nell’infinità nevosa – una roccia, un albero alto – e
guida il proprio corpo sulla neve come il timoniere guida la barca lungo un
fiume, da un capo all’altro. Una fila di cinque o sei uomini, spalla a spalla,
marcia lungo la sottile e incerta pista appena tracciata. Posano i piedi
accanto al solco, non dentro. E raggiunto il punto prestabilito fanno
dietrofront e ricominciano a marciare calpestando la distesa di neve vergine...e
la strada è tracciata.
Più
oltre cominciavano i settori addetti alle strade, luoghi di poco migliori delle
miniere…Da un pezzo ormai il camion arrancava per una strada che serpeggiava
tra le rocce. La strada somigliava a una fune con la quale il mare veniva
tirato verso il cielo. Lo alavano i monti, con la schiena incurvata.
“Quarantasette” (km n.d.r.) strillò disperato l’esperantista inquieto. Il
camion passò senza fermarsi. “Dove stiamo andando?” chiese Andreev, afferrando
qualcuno per la spalla. “Ad Atka, al chilometro 208, per passarci la notte”. “E
poi?” “Non so…dammi da fumare”. L’autocarro, sbuffando pesantemente, saliva
verso un valico dei monti Iablonovi.
Fui l’ultimo a salire sul camion e
l’unico posto rimasto era in fondo, vicino alle falde aperte del telone, nella
zona più fredda del cassone. Su ciascun lato, sul lungo sedile, sedeva una
dozzina di prigionieri; rattrappiti dal freddo stavano chinati verso la stufa
di ferro centrale. Nella cabina, insieme all’autista, c’erano due guardie.
Un’altra guardia era seduta dietro, con i prigionieri, volgendo le spalle alla
cabina; la sua baionetta rifletteva le fiamme della stufa…Ma improvvisamente,
uno strepito di urla e di freni mi destò senz’altro. Ero stato scagliato in
aria e, attraverso uno sprazzo di luce ardente, vidi sollevati in aria come me
i prigionieri che erano seduti dalla mia parte...la stufa esplose. Braci rosse
e faville, insieme a schegge di metallo e a pezzi di telone, piovvero su di
noi…Fui sbalzato fuori dal cassone.
Dove era
il camion? Ero stato scagliato nella banchina della strada. In basso, alla fine
di un avvallamento, c’era il camion riverso su un fianco, in fiamme. Scendemmo,
avvicinandoci ai resti, e sentimmo delle grida provenire dall’automezzo
fracassato in fiamme…Il tubo spezzato della stufa ardeva il materiale e la
carne con cui era venuto a contatto…salii fino alla strada…erano passati molti
camion, ma nessuno si era fermato. Non si sarebbe fermato nessuno, perché gli
autisti non volevano certo avere a che fare con qualcuno che si trova di notte
a piedi sulla statale della Kolyma. Non si contavano le storie di furti e
omicidi commessi da prigionieri scappati o ex reclusi.
La
strada maestra della Kolyma non sembrava affatto una strada maestra. Pavimentata
con piatti ciottoli grigi, era a corsia unica e solo ogni tanto c’era, qua e
là, un po’ di bordo. Periodicamente, compariva a lato della strada uno slargo,
dove ci si poteva fermare, per andare dietro ai cespugli, la latrina pubblica,
ma queste piazzuole erano rare. Lungo la strada non vidi una sola stazione di servizio
né u locale di qualsiasi tipo. Il traffico era costituito da mezzi pesanti, che
trasportavano prigionieri, prodotti alimentari, scorte. Percorremmo diversi passi
di montagna; il camion sfiorava il ciglio della strada, a margine di un dirupo
che scendeva per centinaia di metri fino a valle. Sui tratti ripidi il camion
rallentava fin quasi a fermarsi, allora ci veniva ordinato di scendere e
spingere: un diversivo che apprezzavo, perché avevo la testa che m pulsava e lo
stomaco in subbuglio.
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