Foto della “Strada delle Ossa” da Magadan a Yagodnoe (2)

 

I testi che accompagnano le foto sono tratti dalle opere-testimonianze di Shalamov, Bardach, Solomon e dal libro di Conquest. Il colore dei vari testi corrisponde ad un autore, come qui sopra evidenziato.

Per i riferimenti bibliografici di questi libri vai alla pagina principale sulla Kolyma.

 

Ho scelto di commentare le foto non con didascalie sul luogo o su ciò che si vede, ma con brani tratti dalle memorie di sopravvissuti ai gulag perché penso sia il modo migliore per contestualizzare lo spazio ed il tempo della “Strada delle Ossa”.

 

Le foto si riferiscono ai primi di luglio del 2007.

 

 

Qui trovate foto direttamente inerenti alle condizioni della strada ed al paesaggio circostante. Per visualizzare invece immagini relative ai centri che si trovano lungo l’arteria di comunicazione principale della Kolyma ciccate sui link qua sotto: (per localizzare i vari paesi guardate la cartina della strada)

Foto Palatka

Foto Atka

Foto Yagodnoe

Foto Orotukan

 

 

               

Ci trascinavamo insieme, liberi e detenuti. L’autista, rimasto senza benzina, avrebbe atteso i soccorsi che noi andavamo a chiamare. Era restato li, e aveva fatto un falò con l’unica legna secca che gli era capitata sotto mano – quella dei segnali stradali. La salvezza dell’autista significava forse la morte per gli altri autocarri – aveva raccolto tutti i segnali, li aveva spezzati e messi nel falò, che bruciava con un fuoco piccolo ma salvifico.

 

               

Nessuno ignora il fatto che la linea vitale che va da Magadan a Yakutsk per 2000 miglia tra le montagne fu costruita in due anni da uomini e donne condannati ai lavori forzati, e che chiunque avesse solo diminuito l’impegno nel lavoro avrebbe rischiato di essere fucilato sul posto.

 

               

C’erano due modi per raggiungere l’estremo nord della regione: per strada, in direzione ovest verso Yakutsk, o via mare da Magadan a Pestraya Dresva nella parte nord-orientale del mare di Okhotsk…A quelli mandati via terra veniva data una razione di cibo freddo per tre giorni, consistente in pane, pesce salato e 15 grammi di zucchero. 

 

               

Si viaggiava su camion aperti, sedendo con le gambe incrociate, sotto scorta di tre guardie armate. A meno che non accadessero incidenti, i prigionieri riuscivano a raggiungere la destinazione in alcuni giorni. Ma in molti altri casi spesso problemi meccanici rendevano il viaggio più lungo, costringendo i prigionieri a tirare avanti più giorni con la loro misera razione nel freddo pungente.

 

              

Cominciarono a baluginare le luci del villaggio. Mogli, dipendenti e superiori uscirono incontro agli uomini che si trascinavano. A me non venne incontro nessuno: dovetti strisciare da solo fino alla baracca, alla stanza, alla branda, accendere la stufa di ferro e farla partire. E quando mi fui scaldato, quando ebbi bevuto dell’acqua calda, scaldata nel mio boccale direttamente dentro la stufa, sulla legna che bruciava, mi raddrizzai davanti al fuoco, di cui sentivo la luce calda passarmi sul volto – la pelle del volto non era completamente ghiacciata, c’erano ancora delle macchie, degli spicchi, delle parti che si erano preservate -, e presi una decisione.

 

               

 

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